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La Cina taglia i tassi per sostenere il Pil
La banca centrale è intervenuta per “garantire le ragionevoli esigenze di finanziamento degli immobili” e più prestiti “all'economia reale”. La mossa è volta a scongiurare i rischi di deflazione, dopo che a luglio Pechino ha registrato dati non positivi, a causa soprattutto della politica della “tolleranza zero” sul Covid. Intanto, per il terzo mese di fila, Mosca è il primo fornitore di greggio
La Cina prova a schivare la tempesta perfetta e l'incubo deflazione con un nuovo taglio dei tassi a difesa della crescita, in netta controtendenza rispetto alla stretta in atto a livello mondiale per contenere le spinte dell'inflazione. La Banca centrale (Pboc) ha tagliato di 5 punti base al 3,65% il Loan prime rate a un anno, tra i tassi preferenziali delle banche alla clientela migliore. E ha limato al 4,30%, dal 4,45%, il tasso a 5 anni, il benchmark dei mutui immobiliari. Tutto ciò oltre alla sforbiciata di 15 punti base del maggio scorso a sostegno della domanda di prestiti, nel mezzo della crisi del real estate e delle proteste dei mutuatari che hanno bloccato i pagamenti delle rate su case che non saranno mai consegnate o che hanno già perso molto valore.
Il governatore della banca centrale di Pechino, Yi Gang, ha fornito le direttive in un simposio con le istituzioni finanziarie: sforzi "per garantire le ragionevoli esigenze di finanziamento degli immobili" e più prestiti "all'economia reale", alle piccole e micro imprese, allo sviluppo verde e all'innovazione scientifica e tecnologica, coordinando "il rapporto tra crescita costante del credito e prevenzione dei rischi finanziari".
L'economia cinese, cresciuta di appena lo 0,4% nel secondo trimestre, ha accusato a luglio preoccupanti dati macroeconomici: la produzione industriale e le vendite al dettaglio hanno deluso (rispettivamente + 3,8% e + 2,7%), mentre i prezzi al consumo sono saliti al 2,7%, ai massimi degli ultimi due anni. In più, la disoccupazione giovanile (16-24 anni), tra i crucci della leadership comunista, è schizzata al 19,9%, dal 19,3% di giugno e dal 18,4% di maggio. Sull'economia cinese, trainata dall'export (+18% a luglio), pesano la politica della 'tolleranza zero' per contenere la peggiore ondata di Covid-19 in oltre due anni, la crisi immobiliare, le turbolenze internazionali con la guerra in Ucraina e le tensioni sulle forniture elettriche per la siccità che sta prosciugando bacini e fiumi. Nel Sichuan, che genera l'80% del fabbisogno energetico dall'idroelettrico, le autorità hanno dalla scorsa settimana limitato l'erogazione di elettricità a migliaia di fabbriche fino a giovedì prossimo, spingendo Toyota, Foxconn e Tesla a fermare le operazioni in alcuni impianti.
La mossa della Pboc è giunta a una settimana dalla sforbiciata di 10 punti base su altri due tassi chiave: sui prestiti a medio termine (Mlf) a un anno al 2,75% e sui reverse repos a sette giorni al 2%. Misure che non avevano già convinto per incisività: Goldman Sachs e Nomura hanno tagliato la scorsa settimana le stime 2022 sul Pil della Cina, rispettivamente, al 3% (dal 3,3%) e al 2,8% (dal 3,3%).Uno scenario non proprio rassicurante a ridosso del XX Congresso del Partito comunista che in autunno dovrebbe assegnare al presidente Xi Jinping un inedito terzo mandato alla guida del Pcc. Intanto, Pechino, malgrado la guerra in Ucraina, ha importato anche a luglio in modo robusto i combustibili fossili dalla Russia grazie ai prezzi a sconto, facendo di Mosca il primo fornitore di greggio (+7,6%) per il terzo mese di fila. Secondo le Dogane cinesi, il gas naturale liquefatto (+20,1%) ha avuto un balzo per il quarto mese consecutivo, mentre il carbone è salito ai massimi degli ultimi cinque anni.