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L'inflazione Usa rallenta: Borse in festa
A ottobre la crescita dei prezzi si è fermata al 7,7% e i mercati hanno messo a segno un incredibile rally nella speranza che il picco sia ormai alle spalle e che la Fed inizi a rallentare la corsa dei tassi. Il Nasdaq ha guadagnato oltre il 7% e Wall Street ha messo a segno il maggior rialzo dal 2020. Intanto Moody’s taglia le stime della crescita mondiale e vede Italia e Germania in recessione
L'inflazione americana rallenta la corsa, fermandosi in ottobre al +7,7%. E le Borse volano nella speranza di una Fed meno aggressiva. Le piazze finanziarie europee chiudono tutte in positivo, con Milano che segna un +2,58%. Wall Street sperimenta un vero e proprio rally che vede il Nasdaq arrivare a guadagnare oltre il 7%, e i listini involarsi verso la giornata migliore dal 2020. "Ci sono buone chance che l'inflazione abbia raggiunto il picco e stia iniziando a calare", affermano gli analisti. La volata dei mercati finanziari è accompagnata da un forte calo dei rendimenti dei titoli di stato. Quelli sui Treasury a due anni sono scesi al 4,32% dal 4,62%, in quello che è il calo giornaliero maggiore dal 2008. In Italia lo spread tra Btp e Bund ha chiuso sotto i 200 punti (199 punti), con il rendimento che cala di 28 punti base al 3,99% portandosi ai livelli di metà settembre scorso.
I dati sull'andamento dei prezzi al consumo hanno consentito agli investitori di tirare un sospiro di sollievo: in ottobre l'inflazione ha frenato al 7,7% dall'8,2% di settembre, segnando l'aumento più contenuto da gennaio. Meglio delle attese anche l'indice core, quello al netto di energia e alimentari e monitorato dalla Fed: è salito dello 0,4%, meno del +0,6% previsto. Il raffreddamento della corsa dei prezzi al consumo segnala come la ricetta shock della Fed sta funzionando e allenta la pressione sulla banca centrale, concedendole la possibilità di rallentare la velocità dei rialzi dei tassi di interesse dopo le sei strette varate dall'inizio dell'anno, incluse le quattro consecutive da 75 punti base. Alla prossima riunione del 13 e 14 dicembre la Fed avrà a disposizione anche il dato sui prezzi di novembre e quindi potrà contare su un quadro più completo per decidere le sue mosse. Gli analisti scommettono su un aumento del costo del denaro dello 0,50%, con il quale la banca centrale potrà mostrarsi più colomba, ma allo stesso tempo continuare la sua battaglia contro l'inflazione che, pur rallentando, si mantiene elevata e minaccia l'economia, per la quale lo spettro di una recessione resta vivo. Il sentiero per un 'atterraggio morbido' si continua infatti ad assottigliare, lasciando spazio ai timori di una contrazione economica per il prossimo anno.
La crociata contro il caro-vita prosegue incontrastata anche in Europa. Il Consiglio direttivo della Bce "è pronto ad adeguare tutti i suoi strumenti nell'ambito del proprio mandato per assicurare che l'inflazione si stabilizzi sull'obiettivo del 2% a medio termine", si legge nel bollettino economico dell'Eurotower, nel quale si constata come i dati più recenti sull'economia dell'area euro "confermano rischi per le prospettive di crescita economica chiaramente orientati al ribasso, soprattutto nel breve periodo" nonostante segnali positivi sullo scenario mondiale. A certificare un rallentamento dell'economia mondiale è Moody's. L'agenzia di rating ha tagliato le stime sul pil globale nel 2023, prevedendo una crescita che per i Paesi del G20 si fermerà all'1,3%, a fronte delle precedente previsione del 2,1%, e in frenata rispetto al +2,5% atteso quest'anno. Moody's stima quindi un pil in calo in Germania (-1,8%), Francia (-0,7%), Gran Bretagna (-0,5%), mentre gli Usa cresceranno di un modesto +0,4%. Per l'Italia - dove la produzione industriale è calata in settembre dell'1,8% - le previsioni vengono tagliate da una crescita 'zero' a una contrazione del pil dell'1,4%. L'economia globale rallenta "in presenza di livelli straordinariamente alti di incertezza - spiega Moody's - generati da un'inflazione persistente, un irrigidimento della politica monetaria, sfide fiscali e cambiamenti geopolitici". Per ora però l'atteso rallentamento economico e la possibile recessione non sembrano agitare: la previsione di una Fed meno aggressiva sono di conforto, visto che finora la banca centrale americana è stata ritenuta la principale responsabile di una possibile recessione.