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PRIVATIZZAZIONI
16/11/2023

Giorgetti, via da Mps entro la fine del 2024

Il ministro dell’Economia si dice convinto che il Tesoro uscirà integralmente dall’istituto senese entro il periodo concordato con l’Unione europea. Entro novembre verranno scelti gli advisor per l’operazione di dismissione, ma sul tavolo resta il nodo di individuare possibili partner con cui accasare l’istituto. Intanto, in Borsa ci si aspetta la cessione di un 10-15% entro pochi mesi

Entro la fine del 2024 Mps potrebbe tornare ad essere una banca privata. Il ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti, apre con un "sì" convinto alla possibilità che la dismissione della quota in mano al Tesoro, pari al 64,2% del capitale, possa chiudersi entro l'anno prossimo, coerentemente con l'orizzonte temporale imposto dalla Ue all'Italia. Il processo di privatizzazione ha mosso i primi passi all'inizio di ottobre, con l'avvio del processo di selezione dei consulenti finanziari e legali che assisteranno il Mef. L'invito, secondo indiscrezioni, sarebbe stato indirizzato solo a banche estere e dovrebbe portare già alla fine del mese, o al più tardi a novembre, all'individuazione degli advisor. La cornice della privatizzazione è stata disegnata da Giorgetti nelle ultime settimane: Mps rappresenta "una leva per costruire un polo bancario forte" e "non c'è una data" entro cui la quota debba essere dismessa. "Usciremo quando è opportuno uscire, realizzando anche un obiettivo di sistemazione del sistema bancario italiano e quando il prezzo e le condizioni di mercato ci sembreranno congrue", ha detto venerdì scorso in occasione della assemblea dell'Fmi a Marrakesh.
Il mercato si aspetta la vendita in Borsa di una quota del 10-15% che renderà meno ingombrante la presenza del Tesoro, seguita da una fusione per la quale, al momento, mancano candidati. Bper, impegnata a digerire Carige, potrebbe volgere lo sguardo alla Popolare di Sondrio sotto la regia di Unipol. Banco Bpm continua a dirsi non interessata e presenterà a dicembre un piano stand alone. Unicredit ritiene più conveniente investire su se stessa con il buyback anziché pagare un premio per una banca rifiutata due anni fa con una dote miliardaria. Mentre il Credit Agricole, pure molto attivo sul mercato italiano, sconta il problema di battere bandiera francese. D'altra parte il Tesoro non intende svendere una banca che, grazie alla pulizia dagli npl, all'uscita di oltre 4.000 dipendenti e al contesto favorevole dei tassi prevede di chiudere il 2023 con un miliardo di utili. Sul fronte dei rischi legali, ultimo fardello delle vecchie gestioni, l'assoluzione di Antonio Vigni e Giuseppe Mussari nel caso derivati ha disinnescato contenziosi per un miliardo e altrettanto potrebbe accadere se il 27 ottobre la Corte d'Appello scagionerà Alessandro Profumo e Fabrizio Viola, depotenziando anche due miliardi di reclami extragiudiziali. A quel punto non resterà che attendere l'udienza preliminare del 9 novembre sul filone dei crediti deteriorati - 14 miliardi di euro di presunte ritardate rettifiche - per sapere se lo spettro delle cause continuerà ad aleggiare su Siena. In Borsa il titolo, che ha reagito con una fiammata alle parole di Giorgetti sulla privatizzazione, ha chiuso poi in linea con il listino (+0,44% a 2,53 euro). 

Autore: ANSA