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TRANSIZIONE ENERGETICA
01/11/2023

Rinnovabili in crisi, Orsted sprofonda in Borsa

Tassi d’interesse elevati, difficoltà di approvvigionamento e costi più alti hanno spinto il colosso danese dell’eolico off shore a cancellare due mega progetti negli Usa, facendosi carico di svalutazioni doppie rispetto alle previsioni: 3,8 miliardi di euro in totale. Alla Borsa di Copenhagen il titolo crolla del 26% (-60% dall’inizio dell’anno). L’intero settore è in affanno

La crisi dell'industria eolica offshore, sferzata dagli alti tassi, dalle difficoltà nelle catene di approvvigionamento e dai costi crescenti per effetto dell'inflazione, si abbatte su Orsted, leader mondiale nella costruzione di campi eolici in mare. Il gruppo danese, che nel giro di un decennio si è trasformato da produttore di energia a trazione fossile ad attore della transizione energetica, ha annunciato lo stop allo sviluppo di due campi eolici negli Stati Uniti, l'Ocean Wind 1 e l'Ocean Wind 2, da costruire al largo delle coste del New Jersey, facendosi carico di svalutazioni per 28,4 miliardi di corone danesi (3,8 miliardi di euro). L'ammontare, quasi doppio dei 16 miliardi di corone ipotizzati ad agosto, ha provocato un tracollo del titolo alla Borsa di Copenaghen, dove Orsted ha chiuso in calo del 25,7% a 252 corone, portando fin quasi al 60% le perdite accumulate nel corso del 2023. Un trend negativo che viene replicato dall'intero settore delle rinnovabili, sia solare che eolico, penalizzato dalla necessità di ingenti investimenti (e dunque capitali) in un contesto di tassi alti e forte inflazione. "Non ci sono dubbi che l'industria eolica offshore si stia trovando nel bel mezzo di una tempesta perfetta", ha dichiarato il ceo di Orsted, Mads Nipper, facendo riferimento "a tassi di interesse che schizzano" e alle "interruzioni nella supply-chain". Solo martedì scorso Bp ha svalutato per 540 milioni di dollari le sue attività offshore negli Usa mentre la scorsa settimana il produttore di turbine Xinjiang Goldwind Science & Technology ha visto i suoi profitti crollare del 98% e il gruppo norvegese Equinor ha registrato un impairment da 300 milioni di dollari sui suoi progetti offshore negli Usa.
Tassi alti, ritardi negli approvvigionamenti, incertezze regolatorie in materia di monetizzazione dei crediti fiscali e di permessi sono anche le ragioni che, mettendo in discussione tempistica e sostenibilità finanziaria dei Ocean Wind, hanno costretto Orsted ad alzare bandiera bianca. Il rischio è che gli obiettivi della transizione energetica sfuggano di mano. "Siamo fermamente convinti che gli Usa abbiano bisogno dell'eolico offshore per raggiungere i loro target di riduzione delle emissioni di carbonio e restiamo impegnati sul mercato rinnovabile americano", ha detto Nipper. Gli Stati Uniti, che nell'eolico offshore sono più indietro dell'Europa e della Cina, puntano a produrre 30 gigawatt entro la fine del decennio, ma i vincoli del programma di sostegno alla transizione verde messo a punto dalla Casa Bianca, come il ricorso a una larga fetta di componenti Made in Usa, rendono il percorso ancora più in salita. 

Autore: ANSA