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La Fed lascia invariati i tassi, ma la stretta non è finita
Per il secondo mese consecutivo, la banca centrale statunitense ha lasciato i tassi nella forchetta 5,25-5,50% ma esclude categoricamente la possibilità di tagliare e, anzi, mette le mani avanti su possibili nuovi rialzi, che potrebbero concretizzarsi a fine gennaio: “Abbiamo fatto progressi, ma la strada per raggiungere il target del 2% è a ostacoli”, ha dichiarato il presidente Jerome Powell
La Fed lascia i tassi fermi ai massimi degli ultimi 22 anni per il secondo mese consecutivo, mantenendoli in una forchetta fra il 5,25% e il 5,50%. Ma avverte: la porta resta aperta a nuovi rialzi perché la battaglia contro l'inflazione non è vinta e la strada da compiere per riportare i prezzi all'obiettivo del 2% è "ancora lunga". I prezzi restano elevati e "restiamo attenti ai rischi", ha detto il presidente della Fed Jerome Powell, sottolineando che alla luce di quanta strada è stata fatta, la Fed può muoversi con cautela. "Continueremo a monitorare i dati economici e siamo pronti ad aggiustare la politica monetaria se appropriato a fronte di rischi che potrebbero impedire il raggiungimento del target di inflazione del 2%", ha spiegato ribadendo ancora una volta l'impegno della banca centrale a riportare l'inflazione al 2% perché "senza la stabilità dei prezzi l'economia non funziona. Abbiamo fatto progressi nel ridurre l'inflazione, ma la strada per raggiungere il 2% è a ostacoli" e la Fed non intende mollare la presa fino a quando non avrà fiducia nel calo dei prezzi, ha detto Powell.
Il presidente della Fed ha quindi scartato un possibile taglio dei tassi: "non ci pensiamo e non ne parliamo. La domanda che ci poniamo è se dovremmo alzare ancora". Una domanda che affonda la radici nell'elevata inflazione - al 3,7% in settembre -, nella solidità del mercato del lavoro e in una resilienza sorprendente dell'economia americana che, nonostante le 11 strette varate dal marzo del 2022, continua a crescere oltre le attese e nel terzo trimestre ha segnato un +4,9%, ai massimi dal 2021. Una velocità sostenuta destinata a condizionare le scelte della Fed. "Continuiamo a ritenere di dover vedere una crescita più lenta e un mercato del lavoro meno solido", ha osservato Powell. Senza scoprire le carte per le prossime mosse, il presidente della Fed ha ribadito che le decisioni sulla politica monetaria saranno "prese riunione per riunione" tenendo conto che "al momento non abbiamo fiducia di aver raggiunto un livello di politica sufficientemente restrittiva per un'inflazione al 2%". Una considerazione che deve comunque deve tenere in considerazione come "gli effetti dei rialzi dei tassi del 2022 si stanno avendo ora". Gli analisti prevedono che la Fed manterrà i tassi fermi anche alla riunione di dicembre, ma ritengono che ci sia una chance su tre di un nuovo rialzo dei tassi alla riunione del 30-31 gennaio.
Nella sue prossime decisioni della Fed terrà conto delle "tensioni geopolitiche elevate. Stiamo monitorando i loro effetti sull'economia", ha precisato Powell assicurando che la Fed sta monitorano l'andamento dei rendimenti di lungo termine dei Treasury, di recente aumentati a livelli record e che potrebbero aiutare la Fed a raffreddare la domanda. Uno degli effetti delle due guerre in corso, e in particolare di quella a Gaza, è la possibile volata dei prezzi del petrolio. La Banca Mondiale ha previsto, nello scenario peggiore, che la guerra in Medio Oriente potrebbe far schizzare i prezzi del greggio fino a 150 dollari al barile. Un'eventualità che potrebbe esacerbare ulteriormente al rialzo le pressioni inflazionistiche, creando problemi alla Fed.
Wall Street avanza spinta dalle parole di Powell. La posizione della Fed però non convince tutti. Bill Dudley, l'ex presidente della Fed di New York, intravede delle criticità nella logica della Fed per mantenere fermi i tassi, incluso un mercato del lavoro ancora troppo solido per consentire il raggiungimento di un'inflazione al target del 2% senza contare che la politica monetaria non opera più esattamente come prima e che ci sono dubbi sulla nozione che elevati tassi di interesse a lungo possano sostituire ulteriori strette.