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Cina in manovra in vista dei dazi di Trump
Pechino avverte Washington che la guerra commerciale comporterà solo costi più alti per i consumatori e non risolverà il problema del deficit commerciale statunitense. Con le tariffe l’impatto sul Pil cinese potrebbe arrivare al 2% e la leadership dei Dragone è al lavoro per allargare la sua influenza e la rete delle alleanze: Sud del Mondo, Brics e prove di dialogo con l’Europa
La Cina è disposta a rilanciare un dialogo con gli Stati Uniti che sia "basato sui principi del rispetto reciproco" nell'imminenza del ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca. Il viceministro del Commercio Wang Shouwen, il capo negoziatore di Pechino sulle vicende internazionali, ha assicurato allo stesso tempo che la Repubblica popolare è capace "di resistere" all'impatto degli shock esterni grazie a un'economia "che mostra segnali di stabilizzazione", più solida di alcuni mesi fa. Il prudente ottimismo ostentato da Wang, espresso in un briefing con i media, è la risposta al carico di incognite legato al tycoon e alle sue promesse elettorali di dazi al 60% sul made in China verso l'America. Le parti "possono mantenere un trend di sviluppo stabile, sano e sostenibile nelle loro relazioni economiche e commerciali", fino ad ampliare le "aree di cooperazione" a fronte "di una gestione adeguata delle divergenze". Wang è tra i funzionari mandarini che più conosce i corposi dossier Usa, quale instancabile negoziatore nel duro braccio di ferro commerciale sino-americano durante la prima amministrazione Trump.
I dazi, ha messo in guardia, "porteranno solo costi più elevati per i consumatori e gli importatori" e "la storia ha anche dimostrato che l'imposizione di tariffe sulla Cina da parte di un Paese non risolve il problema del suo deficit commerciale". Il Dragone, per altro verso, lavora al nuovo modello di sviluppo economico della "doppia circolazione", con il mercato interno come primo pilastro che tende a sviluppare un rafforzamento reciproco con quello esterno. Gli analisti stimano che le sanzioni brandite dal tycoon, prendendo di mira l'export, potrebbero causare una minor crescita del Pil cinese di oltre il 2%. Un'enormità se si considerano gli sforzi per cercare di centrare il target 2024 'di circa il 5%'. Intanto, nei suoi primi incontri globali dalla rielezione di Trump, il presidente Xi Jinping ha lanciato un'offensiva diplomatica, proteggendosi dalle tariffe in arrivo e preparandosi a sfruttare le potenziali fratture tra Washington e i suoi alleati. Nella ventina di bilaterali avuti negli ultimi 10 giorni, dall'Apec in Perù al G20 in Brasile, Xi ha lavorato per far emergere i contrasti con il messaggio dell'America First" di Trump come difensore dell'ordine commerciale globale multilaterale. Malgrado sia meglio preparata per un altro scontro con The Donald, dato che molte aziende hi-tech sono meno dipendenti dall'import Usa, la Cina è più vulnerabile per la grave crisi immobiliare che ha zavorrato l'economia.
Gran parte dell'attenzione si è concentrata sul Sud globale per rafforzare la leadership, mentre i legami con il Brasile sono saliti a livello di "futuro condiviso per un mondo più giusto e un pianeta più sostenibile". Xi ha puntato anche sull'ampliamento dei Brics e sul recupero dei legami con i vicini asiatici, dall'India al Giappone, dalla Corea del Sud all'Australia. Il corteggiamento non ha risparmiato i Paesi europei, minacciati dai piani di Trump, ma anche alle prese con le crescenti tensioni con Pechino. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha detto che Berlino avrebbe lavorato a una mediazione alla disputa Ue-Cina sui dazi di Bruxelles all'import delle e-car cinesi nell'incontro con Xi a Rio de Janeiro. Per tutta risposta, Pechino ha annunciato che avrebbe ampliato la portata della sua indagine anti-sovvenzioni sui latticini europei per coprire ulteriori programmi di sovvenzioni dell'Ue, così come quelli di Danimarca, Francia, Italia e Paesi Bassi.