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AUTOMOTIVE
19/08/2021

Mancano i chip: Toyota taglia la produzione

La diffusione del covid in alcuni impianti del sudest asiatico, il costo dei noli – con il prezzo dei container balzato a 20 mila dollari – e, soprattutto, la carenza di semiconduttori inducono il colosso nipponico a tagliare la produzione del 40%. E il suo non è un caso isolato: la mancanza di microchip sta avendo ripercussioni pesanti su tutti i settori industriali

La pandemia non allenta la morsa e tiene sotto scacco interi settori della grande industria a livello globale che scontano la crisi degli approvvigionamenti. Una crisi aggravata anche dalle tensioni sul fronte della logistica, con il costo dei container che sale alle stelle arrivando a sfiorare i 20.000 dollari, e dalle pressioni sul mercato delle materie prime con i prezzi che continuano a registrare sbalzi repentini. Un mix sufficiente a riaccendere i timori di pressioni inflazionistiche che potrebbero soffocare la ripresa economica. Insomma, il tanto atteso giro di boa sembra allontanarsi e un segnale preoccupante arriva da Toyota, pronta ad annunciare un taglio della produzione globale del 40% per la carenza di semiconduttori per il settore automotive e per le restrizioni dovute alla diffusione del coronavirus nelle catene produttive del Sudest asiatico. Ad accendere i riflettori sulle difficoltà della casa automobilistica nipponica è il quotidiano online Nikkei, che mette a confronto le stime rilasciate a inizio luglio, quando Toyota prevedeva di costruire circa 900mila autoveicoli, e le stime attuali, ridotte a 500mila unità.
L'aumento allarmante dei contagi nei Paesi del Sudest asiatico ha impedito il regolare approvvigionamento dei pezzi di ricambio per la funzionalità di diversi impianti in Giappone, tra cui la fabbrica di Takaoka, nella prefettura di Aichi, così come numerosi stabilimenti in Nord America, Cina ed Europa. Nelle ultime settimane il costruttore nipponico ha dovuto fermare gli impianti produttivi di Aichi per la diffusione del Covid in Vietnam, uno dei principali centri manifatturieri per l'intero indotto, mentre a inizio agosto la fabbrica di Takaoka ha deciso uno stop temporaneo per l'insufficienza di chip; una dinamica che continua a riguardare sempre più costruttori. A questo si aggiunge l'impennata del costo dei container: la parziale chiusura del porto cinese di Ningbo in scia alle nuove restrizioni anti-covid intraprese dalle autorità cinesi, ha fatto schizzare il costo del nolo del container per la tratta Cina-West Coast a un passo dai 20.000 dollari. Un'impennata che ha spinto il Baltic Dry Index, che monitora l'andamento dei costi del trasporto marittimo e dei noli, a quota 3.833 punti, il livello più alto dal 2010. Anche Coldiretti lancia l'allarme sui costi dei noli per i rischi dell'export agroalimentare Made in Italy e denuncia "il deficit di competitività dal punto di vista logistico dell'Italia", che si traduce in "un aggravio per gli operatori economici italiani superiore dell'11% rispetto alla media europea". 
 

Autore: ANSA