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STRETTA CINESE
03/09/2021

Anche Alibaba si piega alla “prosperità comune”

Il colosso fondato da Jack Ma destinerà 15 miliardi di dollari al programma di redistribuzione della ricchezza voluto dal presidente cinese Xi Jinping. I fondi verranno impiegati soprattutto a beneficio delle Pmi e dello sviluppo delle aree rurali. Intanto Pechino accusa undici piattaforme, tra cui Didi, di operazioni illegali e impone piani per rivedere il trattamento di consumatori e lavoratori

Alibaba ha risposto alla 'chiamata' del presidente Xi Jinping sulla “prosperità comune” con investimenti per 100 miliardi di yuan (15 miliardi di dollari) da destinare alla redistribuzione del reddito, secondo cui i più ricchi, imprese incluse, devono dare di più alla società. La notizia sui piani del colosso dell'e-commerce fondato da Jack Ma è stata rilanciata dal quotidiano Zhejiang Daily, mentre il South China Morning Post - controllato dalla stessa Alibaba - ha precisato che le risorse saranno erogate entro il 2025 e destinate soprattutto al servizio di Pmi e sviluppo delle aree rurali. Nel dettaglio, un quinto dei fondi, confluirà in modo specifico in un “fondo per lo sviluppo della prosperità comune” che avrà sede nello Zhejiang, la provincia orientale dove la compagnia ha il suo quartier generale. Alibaba è l'ultimo grande gruppo tecnologico cinese ad aver aderito all'appello del presidente cinese sull’equità sociale e contro i redditi “eccessivamente elevati”, a favore della “prosperità comune”, concetto interpretato dagli esperti come inclusivo non solo della ridistribuzione della ricchezza, ma anche del miglioramento dei diritti di lavoratori e consumatori.
Tencent, che controlla tra l'altro la app di messaggistica e pagamenti WeChat, ha previsto un investimento di 50 miliardi di yuan, su totali 100 miliardi, in un fondo dedicato al miglioramento delle condizioni di vita delle fasce a reddito basso. Pinduoduo, altro colosso dell'e-commerce, ha promesso 10 miliardi di yuan a sostegno dell'espansione dell'agricoltura e dell'economia delle aree rurali. 
Intanto, le autorità di regolamentazione di Pechino hanno convocato undici piattaforme, tra cui i colossi Didi (la risposta locale a Uber), T3 e Meituan, contestando “operazioni illegali”. Con un'ultima mossa in pressing sul settore hi-tech, il ministero dei Trasporti, con la Cyberspace administration of China (che sovrintende su Internet), il ministero dell'Industria e dell'Information Technology, il ministero della Pubblica sicurezza e l'Amministrazione statale per la supervisione del mercato (l'Antitrust) hanno accusato le piattaforme per i metodi di marketing usati, di “concorrenza feroce” e “operazioni illegali”, ha riferito una nota del ministero dei Trasporti sull'incontro che si è tenuto mercoledì. Le autorità hanno chiesto di elaborare piani per rivedere il trattamento di consumatori e lavoratori entro quattro mesi, dato che le società hanno “interrotto l'ordine di mercato fondato sulla concorrenza leale, pregiudicato la sicurezza e la stabilità del settore, e hanno danneggiato diritti e interessi legittimi di conducenti e passeggeri”. In più, c'è stata la sollecitazione alla revisione "dei propri problemi interni, correggendo con effetto immediato i comportamenti di non conformità e mantenendo un ordine di mercato “equo e competitivo”. Allo stesso tempo, la nuova stretta ha lo scopo “di creare congiuntamente un buon ambiente per lo sviluppo standardizzato e sano del settore delle auto a chiamata”.
 

Autore: ANSA