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48 minuti fa

Fed, Jefferson: AI non è la nuova bolla dot-com, ma i rischi non mancano

(Teleborsa) - La corsa dell’intelligenza artificiale ricorda per molti l’euforia tecnologica degli anni ’90, ma per il vicepresidente della Federal Reserve, Philip N. Jefferson, i parallelismi con la bolla dot-com si fermano in superficie. "Ci sono importanti differenze tra il periodo attuale e il boom di fine anni Novanta", ha dichiarato l’esponente della Fed alla Financial Stability Conference della banca centrale di Cleveland, sottolineando che i mercati stanno reagendo all’AI "in modo più concentrato, selettivo e fondato sui fondamentali".Jefferson ha riconosciuto un elemento comune tra le due fasi: "La rapida crescita dei prezzi azionari delle imprese che incarnano la promessa di tecnologie trasformative". Durante la bolla Internet, ha ricordato, "le valutazioni dei titoli dot-com aumentarono di oltre il 200% tra il 1996 e il 1999". Un ritmo paragonabile, ma non identico, a quello delle società AI dal 2022.Le differenze però sono decisive. "Molte aziende dot-com avevano utili scarsi o inesistenti e modelli di business altamente speculativi", ha precisato. Nella realtà attuale, al contrario, "le imprese più strettamente associate all’AI hanno flussi di utili solidi e in crescita". Questo si riflette nei multipli: "I rapporti prezzo-utili delle società AI restano ben al di sotto dei picchi registrati durante la bolla Internet", ha affermato Jefferson, evidenziando come gli investitori oggi sembrino meno inclini a "scommesse indiscriminate".Un’altra differenza riguarda il numero di attori. "Alla fine degli anni ’90 più di 1.000 aziende erano quotate come dot-com, molte con ricavi minimi", ha ricordato. "Oggi parliamo di circa 50 società pubbliche considerate AI-focused", un segnale di maggiore selettività del mercato. All’epoca, ha aggiunto, "bastava aggiungere ‘dot-com’ al nome di un’azienda per far salire il titolo", mentre ora gli investitori appaiono più discriminanti, anche se "nei mercati privati sta crescendo il numero di imprese che si definiscono AI-native".Sul fronte della leva finanziaria emergono però somiglianze potenzialmente insidiose. Jefferson ha ricordato che sia nella fase dot-com sia in quella attuale l’indebitamento delle società tech era limitato, ma ha avvertito che "le imprese AI stanno aumentando l’uso del debito per finanziare data center e talenti", e che investimenti futuri potrebbero richiedere "molta più leva", amplificando le perdite in caso di inversione del sentiment. "Le differenze oggi rendono meno probabile una replica degli anni ’90”, ha concluso Jefferson, “ma l’evoluzione dell’AI resta incerta e la stabilità finanziaria va monitorata con grande attenzione".Sul fronte macroeconomico, Jefferson ha ricordato che l’AI sta già modificando entrambi i lati del dual mandate della Fed: "l’AI consente ai lavoratori di completare in pochi secondi compiti che prima richiedevano ore", aumentando la produttività e potenzialmente la crescita, ma con effetti occupazionali ancora incerti. Ha avvertito che alcune imprese stanno riducendo le assunzioni e che i lavoratori più giovani potrebbero subire l’impatto più duro. Sul piano dei prezzi, ha osservato che una produttività più alta potrebbe "ridurre i costi di produzione e mettere pressione al ribasso sui prezzi", anche se la crescente domanda di data center, energia e competenze specializzate potrebbe esercitare spinte opposte. Jefferson ha concluso che sulle implicazioni per la politica monetaria "è troppo presto per dirlo" e che servono "umiltà e monitoraggio costante".(Foto: @ Shutterstock)
Fonte: Teleborsa