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2 ore fa
BCG: 120 milioni di tonnellate di rifiuti tessili prodotti nel 2024. Il riciclo può valere 50 miliardi di dollari
(Teleborsa) - Nel 2024, il mondo ha scartato una quantità di indumenti sufficiente a riempire più di 200 stadi olimpici. Un dato che racconta molto più di una crisi di gestione dei rifiuti: segnala una trasformazione necessaria per un settore – quello della moda – da sempre sinonimo di creatività, stile e innovazione, ma oggi chiamato ad affrontare la sfida più urgente, quella della sostenibilità. Secondo il nuovo studio di Boston Consulting Group (BCG), "Spinning Textile Waste into Value", circa l'80% dei capi dismessi finisce ancora in discarica o viene incenerito, mentre meno dell'1% viene effettivamente riciclato in nuove fibre. Una perdita enorme, non solo ambientale ma anche economica: ogni anno vengono disperse materie prime per un valore stimato di 150 miliardi di dollari. Dietro questi numeri si cela una grande opportunità: secondo le stime portare i tassi di riciclo oltre il 30% permetterebbe di creare oltre 50 miliardi di dollari di nuovo valore e circa 180mila posti di lavoro."Lo studio mette in evidenza un dato su cui riflettere: oggi soltanto il 7% dei rifiuti tessili globali è disponibile come materia prima per il riciclo textile-to-textile, il resto si perde in discariche e inceneritori. Un problema che richiama la necessità di creare nuove soluzioni industriali e tecnologiche su larga scala – afferma Beatrice Lemucchi, managing director and partner di BCG –. E mai come ora ci troviamo nel momento giusto: in Europa la pressione normativa sta accelerando con l'introduzione della responsabilità estesa del produttore, che obbligherà i marchi a finanziare la raccolta e il riciclo nei mercati in cui operano. Non si tratta soltanto di adeguarsi a regole più stringenti, ma di cogliere un'opportunità strategica per rafforzare la competitività e trasformare lo scarto in risorsa".Di fronte a una crisi che intreccia ambiente, economia e consumo, infatti, oggi qualcosa si muove. L'Unione Europea ha inserito i tessili tra le cinque categorie di prodotti a maggiore impatto climatico e ha introdotto la responsabilità estesa del produttore (EPR), che impone ai marchi di finanziare la raccolta e il riciclo degli indumenti. Una linea che stanno seguendo anche Stati Uniti, Canada e Cile pronti ad adottare misure simili.Anche le aziende del settore iniziano a reagire. Brand globali come Adidas, New Balance e Puma hanno avviato investimenti concreti nel riciclo textile-to-textile, un approccio circolare destinato a consolidarsi, soprattutto alla luce delle proiezioni: entro il 2030, la domanda di tessuti riciclati supererà l'offerta di 30-40 milioni di tonnellate.Come siamo arrivati a questo puntoNegli ultimi venticinque anni la produzione mondiale di fibre è più che raddoppiata, spinta da redditi in crescita, nuove abitudini di consumo e tendenze che incoraggiano acquisti frequenti a fronte di un utilizzo ridotto dei capi. Il risultato è un sistema che genera rifiuti a ritmi senza precedenti, con un impatto ambientale sempre più difficile da ignorare: la filiera tessile, dall'estrazione delle materie prime alla produzione, è responsabile del 92% delle emissioni di gas serra dell'intero comparto moda. A rendere ancora più grave il quadro è il problema dello smaltimento. Bruciare una sola tonnellata di tessuti equivale, in termini di emissioni, a sei voli andata e ritorno tra Londra e New York; conferirla in discarica ne vale addirittura otto. E intanto, le montagne di vestiti usati crescono in ogni angolo del mondo. Una delle immagini più emblematiche arriva dal deserto di Atacama, in Cile, dove 66.000 tonnellate di abiti dismessi formano una discarica talmente vasta da essere visibile dallo spazio.Come ripartire verso la sostenibilitàLa strada verso la circolarità è ancora complessa. I materiali riciclati rimangono meno competitivi sul piano dei costi: il poliestere riciclato può costare più del doppio rispetto a quello vergine. Anche le infrastrutture esistenti sono attualmente insufficienti: la raccolta è pensata per la rivendita e i sistemi manuali di smistamento non riescono a distinguere in modo efficace tessuti diversi o rimuovere accessori come bottoni e cerniere. Infine, la complessità dei materiali moderni - spesso composti da fibre miste naturali e sintetiche - rappresenta una sfida che le tecnologie industriali oggi disponibili non riescono a gestire su larga scala."Sebbene recuperare tutto il valore perduto a causa dei rifiuti tessili non sia realistico, – rileva lo studio – esiste l'opportunità di recuperarne una quota significativa". Per realizzare questa visione – secondo BCG – l'industria dovrebbe concentrarsi su cinque azioni chiave: stimolare la domanda di fibre riciclate, con i grandi marchi a fare da traino promuovendo l'adozione su larga scala, mentre le piccole e medie imprese possono collaborare, condividendo strumenti finanziari per affrontare i costi iniziali della transizione; aumentare la quantità di rifiuti raccolti, potenziando i sistemi esistenti attraverso iniziative pubbliche e private: in Europa, questo sforzo potrebbe far salire i tassi di raccolta dal 30% al 55% entro il 2033; un terzo fronte riguarda la modernizzazione dello smistamento, grazie a tecnologie avanzate che permettono di automatizzare e velocizzare i processi, con un potenziale di incremento della capacità fino al 90%. Per chiudere davvero il cerchio, è necessario scalare le soluzioni di riciclo, investendo in infrastrutture in grado di trattare diverse tipologie di fibre, localizzate in modo strategico e supportate da modelli di business sostenibili; infine, va sostenuta con decisione l'innovazione tecnologica: sebbene siano già stati raccolti oltre 250 milioni di dollari per aziende pionieristiche come Circ, Syre e Infinited Fiber, occorrono maggiori investimenti, anche tramite consorzi, per portare queste soluzioni alla scala industriale."Passare a processi più sostenibili è possibile e anche altri settori lo dimostrano. Per esempio, il sistema tedesco di deposito cauzionale per le bottiglie ha raggiunto un tasso di ritorno del 98%, mentre nel comparto energetico – conclude lo studio – gli investimenti e le regole coordinate hanno ridotto dell'89% in dieci anni il costo dell'energia solare, rendendola più economica del carbone". (Foto: ©yarruta/123RF)
Fonte: Teleborsa